BELLA CIAO, GENESI DI UN MITO / FESTIVAL IMPOLLINO
SPETTACOLO E CONFERENZA
“Qual è la canzone italiana più famosa al mondo? Se lo aveste chiesto a mio nonno vi avrebbe risposto O sole mio, per mio padre sarebbe stata Volare – nel blu dipinto di blu, io risponderei Bella ciao”. Comincia così questa conferenza-spettacolo ideata e scritta da Dario De Luca, attore, regista, direttore artistico di Primavera dei teatri, Festival internazionale dei linguaggi contemporanei che resiste a Castrovillari dal 1999 grazie all’organizzazione tenace dell’associazione Scena Verticale.
Sulla scena del teatro di sperimentazione Chimera di Castrovillari, all’interno del festival ImPollino, che sta per volgere al termine con grande soddisfazione degli organizzatori (che hanno collezionato alcuni sold out, come questo, che ha riempito i posti in tutti e tre i giorni), De Luca fa un’operazione non semplice. Lasciando in sospeso i panni abituali dell’interprete, incarna quelli verosimili dell’insegnante universitario, senza però rinunciare a quella parte di sé, di uomo e di attore, che fa della parola un sugo, che sia favola o lezione, conferenza o spettacolo, da vivere a pieni sensi, per tutti i gusti.
L’ambiente della scena è intimo, come la sala piena, gremita di appassionati, amici, bambini, docenti, gente di teatro, pubblico fedele ormai e appassionato alla rassegna: un tavolino basso con un abat-jour a luce calda, alcuni libri da una parte, contrabbasso e tastiera dall’altra, al centro un piccolo schermo, strumento che con il laser, richiama l’aula universitaria. Con lui in scena, Sasà Calabrese, di nome e di fatto, musicista, compositore, ben apprezzato oltre i confini regionali, con cui De Luca ha intrapreso una collaborazione da qualche tempo curvata verso la musica d’autore. Magliette rosse con stampato lo spartito musicale e le parole della canzone più popolare sulla libertà, De Luca e Calabrese ci portano dentro a un viaggio che vuole ripercorrerne la storia e risalirne la genesi. Non ci sono indizi di Bella ciao tra le brigate partigiane, né vi è traccia nella prima versione antecedente alla prima pubblicazione del testo nel 1953, né nei documenti dell’immediato dopoguerra, né è presente nei canzonieri più importanti, come quello di Pasolini e nemmeno dei canti politici degli Editori riuniti del 1962.
Questo non vuol dire che questo canto non fosse mai stata cantato, come sottolinea De Luca, che ci introduce in una ricerca attenta, ma mai noiosa, nonostante la densità di citazioni e aneddoti, che rivelano il frutto di uno studio accurato e preciso, riportato alla luce, dopo anni di buio e di menzogne, innanzitutto di una giusta verità storica. Scopriamo così che la conoscenza di Bella ciao si diffuse soltanto dopo il Festival di Spoleto del 1964.
Attraverso un excursus gustosissimo, che comincia con un estratto dal capolavoro neorealistico e drammatico di Giuseppe De Santis, Riso amaro, il racconto dello spaccato di vita nelle risaie, del duro mondo del lavoro. È quello che in Calabria si chiama “fatica”, che prevede il sacrificio del sudore della fronte, la lotta per il pane, a ogni costo, meno che quello della dignità, tutta da conquistare senza spesso avere niente da perdere, in una dimensione femminile ancora più tragica, che prevedeva di sottostare a orari di lavoro disumani, sottopagati rispetto a quelli degli uomini e a rischi elevatissimi di malattia per le scarse condizioni igienico-sanitarie. Dimensione che per le donne ha ancora oggi i suoi caporali e i suoi padroni e che per contrastarla, più volte nella storia, ha avuto dovuto riscoprire questo canto, per non dover restare simbolicamente in bianco e nero. Lavoro infame per pochi soldi, cantavano le mondine, nella versione di Milva, fedele al canto che conosciamo tutti. Soltanto grazie al lavoro dei ricercatori del Nuovo Canzoniere italiano e alle Edizioni Avanti!, produttrice dei Dischi del Sole, che andavano in giro per i territori a registrare i canti sociali di lotta, emancipazione – racconta De Luca – questi parole in musica si poterono salvare dall’oblio, al quale per tempo sono state condannate.
Tra accordi e mix musicali dall’immaginario sonoro contemporaneo, tra filmati e immagini audiovisivi che impreziosiscono la conferenza, la verità su Bella ciao si fa sempre più chiara e allo stesso tempo assume toni di morte e di mistero, che curvano lo spettacolo verso un’ombra inaspettata. Ripresa da un canto dell’Ottocento, Fior di Tomba II che Costantino Nigra, filologo e poeta, diplomatico e statista, aveva riportato tra i canti popolari, entrando nel repertorio militare della guerra del 1915-18, la storia è quella di una giovane donna che s’innamora di un uomo che poi scopre prigioniero e condannato a morte l’indomani, decidendo di morire con lui e sulla cui tomba si potrà piantare un fiore, davanti al quale la gente, per il profumo (d’amore), dirà che bel fior. Interessanti i successivi intrecci con altre tesi che riguardano la parte melodica, arriviamo alla conclusione che Bella ciao, canto, canzone, di protesta, rivolta e soprattutto di libertà, è soprattutto un inno, un manifesto, un romanzo infinito che dai campi di lavoro, ai teatri, alle piazze, al cinema (nella famosa – e alquanto retorica – serie Netflix, La casa de papel, 2017), pronuncia ancora a chiare lettere l’urgenza della lotta, della responsabilità e del coraggio, anche davanti alla morte.
La conferenza ci inchioda davanti al senso del canto nelle diverse epoche storiche, a seconda delle società, dei contesti, dalle tombe che sfilavano a Bergamo sui carri armati al tempo della pandemia da Covid 19 al naufragio sulle coste dello Steccato di Cutro, passando per i desaparecidos, vittime argentine della dittatura degli anni ’70 e ’80, Almodovar, ma pure le vittime calabresi della lupara bianca. Un’ultima riflessione, partendo dal testo della canzone, sul tema classico della salvezza dei corpi, De Luca la rivolge all’Iliade omerica, ma anche all’Antigone di Sofocle, per dire che la dignità di un popolo passa anche attraverso la dignità della morte e quindi della sepoltura.
Su un assolo di Calabrese, memorabile in questa performance, e nell’espressività del suono, il contrabbasso diventa tomba, su cui viene deposta una rosa, come una lacrima, ma anche come una splendente promessa.
Lo spettacolo è andato in scena: Teatro della Chimera, 24 novembre 2023