Scena Verticale

Rassegna StampaRassegna Stampa – Il diario di Adamo ed Eva

Il Manifesto – Mariateresa Surianello – 09/06/2018

«[…] Delicatezza è la cifra del Diario di Adamo ed Eva che Dario De Luca ha tratto dal romanzo di Mark Twain per regalarlo ai piccoli spettatori. Lo stupore dell’incontro con l’altro da sé e della scoperta del sesso sono affidati a due giovani interpreti (Elisabetta Raimondi Lucchetti e Davide Fasano) che si muovono in un paradiso di carta e cartone colorati […]».

Repubblica.it, Che teatro fa – Valentina De Simone – 13/06/2018

«[…] E in chiusura, dopo questo duplice affondo nelle amarezze del reale, viriamo verso la dimensione dell’impalpabile e dello stupore con Il diario di Adamo ed Eva che Dario De Luca riscrive dal romanzo di Mark Twain per consegnarlo a spettatori dai sei anni in su. Partendo dalle vicende dei primi due abitanti del nostro pianeta, De Luca trasforma la loro storia in una riflessione ad alta voce sulle relazioni tra uomo e donna, in una dinamica spassosa di approcci e ragionamenti differenti, il tutto al cospetto di un’entità luminosa esterna pronta a giudicare. C’è la supremazia del gentil sesso nel multitasking e nel pensiero, e la rozzezza dolce e po’ urlante del suo consorte, in questo dispositivo che si fa gioco degli stereotipi di genere. Elisabetta Raimondi Lucchetti e Davide Fasano, i due giovani interpreti, abitano con meraviglia e sensibilità questo Eden di cartapesta e colore. Restituendoci la delicatezza di un paradiso che in fondo a cercarlo, soprattutto dati i tempi, chissà poi dov’è».

Utopiateatroragazzi.com – Renata Rebeschini – 10/06/2018

«Ho sempre amato Mark Twain in particolare per la sua ironia (con quanti famosi aforismi ci ha rallegrato!) e anche questo “Diario” è spiritoso, graffiante, divertente. Dario De Luca, con Scena verticale, immagina i primi essere umani nei loro rapporti personali, con i pregi e i difetti normalmente attribuiti agli uomini e alle donne. Ne risulta uno spettacolo assai divertente e spiritoso che il pubblico, composto sia da bambini che da adulti, può godere dall’inizio alla fine. Chissà, gli stereotipi di genere sono rimasti come allora o nel terzo millennio sono cambiati? A voi l’ardua sentenza. Nel giardino dell’Eden, spiritosamente realizzato con platica e cartone, troviamo un Adamo (il bravo Davide Fasano) davvero primitivo, umorale, solitario, selvatico (d’altronde era abituato ad essere solo!), che all’arrivo di Eva (l’altrettanto brava Elisabetta Raimondi), rimane spiazzato: quell’essere non fa che parlare, dare il nome ad ogni cosa, ai fiori alla luna, alle stelle, a loro stessi, uomo e donna. Lei è poetica, romantica, osservatrice, pronta al nuovo, lui è burbero, distratto, imbranato, aggressivo. Si potranno mai congiungere? Beh, la storia della mela la conosciamo bene ma il modo in cui ci si arriva nello spettacolo è spassoso e accompagna gli spettatori alla scoperta dei rapporti umani, del sesso, della vita, della morte, insomma del mondo in cui essi stessi vivono. Riusciranno, anzi, riusciremo a farlo con la stessa ironia di Twain?»

Paneacquaculture.net – Renzo Francabandera – 23/05/2018

«[…] Ha debuttato a Matera, città partner con Napoli del Festival Maggio all’Infanzia, Il diario di Adamo ed Eva di Dario De Luca liberamente tratto dall’omonimo romanzo di Mark Twain, con i notevoli e generosi Elisabetta Raimondi Lucchetti e Davide Fasano. Il debutto nazionale ha luogo al Museo archeologico nazionale “Domenico Ridola” per questa produzione di Scena Verticale suggerita ad un pubblico dagli 8 anni in su e che prendendo spunto dal mito biblico, attraversa il rapporto ma anche gli stereotipi delle differenze fra uomini e donne. […]

Notevole sia il lavoro fisico iniziale, in cui abbiamo rivisto alcuni movimenti di Xavier Le Roy, che le interpretazioni dei due giovani, per una commedia ambientata in un finto Eden. La riscrittura che De Luca distilla dal diario di Twain trasforma i diari dei due antenati in un dialogo stile Mork&Mindy con un’entità luminosa esterna, e come nella serie tv gioca sulle diversità proprio di approccio e ragionamento differenti fra donne e uomini. Che sicuramente esistono anche a livello cerebrale, con una supremazia, che pure lo spettacolo sottolinea in modo divertente, della donna nelle abilità multitasking e di pensiero, rispetto all’uomo, dal tratto un po’ troglodita e urlante nello spettacolo. La sintesi va certamente nel senso di giocare ironicamente con gli stereotipi. Ovviamente, il rischio di un testo brillante ma a suo modo “antico”, fondato sugli stereotipi di genere è di rimanerne un po’ prigionieri involontariamente, e quindi forse anche decostruirne qualcuno potrebbe aiutare a riequilibrare secoli di preconcetto su demarcazioni così nette circa le abilità legate al genere. In fondo Twain era uomo di un secolo e mezzo fa, prima del Sessantotto e delle conquiste novecentesche. Insomma, l’ombrello di foglie poteva anche inventarlo Eva! Sì, ma poi ad Adamo che facciamo fare? Bel dubbio, che è in fondo anche la crisi di ruolo del nostro tempo della figura maschile. Forse non male come suggestione, quella di un uomo che impari non solo l’empatia ma anche il fare dalla donna, e sedi i propri istinti violenti in nome di una cultura più cooperante. In parte nello spettacolo accade. Magari essere più espliciti su qualche passaggio può essere utile a favorire proprio la pienezza comunicata delle parità differenti. È uno stimolo-provocazione che lasciamo al pensiero registico, su uno spettacolo che ha peraltro elementi di grandissima qualità, sia nell’impianto scenico (bellissimo, oltretutto, il finale di ombre) che nella direzione degli attori».

Eolo-ragazzi.it, Recensioni – Mario Bianchi

«[…] Dario De Luca, in occasione dell’atteso ritorno di Scena Verticale nell’immaginario del teatro ragazzi, ha scelto di ispirarsi a un testo poco noto dello scrittore americano Mark Twain “Il Diario di Adamo ed Eva“ mettendo in scena direttamente i nostri progenitori in un Eden ricostruito con cartone e plastica.

Ecco che davanti agli occhi dei piccoli spettatori De Luca, ispirandosi a Twain, si diverte ad immaginare come siano potute andare realmente le cose tra la prima coppia ( gli efficaci e divertenti Elisabetta Raimondi Lucchetti e Davide Fasano ) che ha abitato il nostro mondo. Adamo, dai modi un po’ rozzi e facilmente irritabile, impacciato ma nel medesimo tempo prepotente, è subito infastidito dalla presenza di Eva, che parla continuamente, dando il nome ad ogni cosa, accorgendosi della luna in cielo e parlando con l’acqua, elementi ovviamente che a lui, Adamo, interessano poco o nulla. Avendo in sé cuore e testa, Eva è dunque romantica, un poco vanitosa, mentre Adamo è cinico, solitario, rude. Come ovvio, anche se piano piano, Adamo si avvicinerà sempre di più a quella strana creatura più intelligente di lui, che dialoga spesso con quella curiosa luce che proviene dall’alto, non potendo, Adamo, più farne a meno. Adamo ed Eva vivono senza eccessivi pensieri in una cornice idilliaca meravigliosa, finché mangiando la mela che il serpente offre loro, quel piccolo universo viene distrutto. I nostri eroi sono così introdotti nel mondo reale, dove, come ben sappiamo, vigono la vergogna del loro corpo nudo e soprattutto le regole della vita e della morte. Nel Diario di Adamo ed Eva, nel rapporto che si instaura tra il maschio e la femmina, i piccoli spettatori, in modo divertente, venato di ironia, possono riscontrare il loro medesimo percorso verso la conoscenza del mondo, verso la scoperta dell’altro sesso e dei sentimenti che li contraddistinguono. Ci resta solo il rimpianto che lo spettacolo, quando l’Eden viene distrutto, essendo fino ad allora vissuto sugli stereotipi che ben conosciamo, dedicati al Femminile e al Maschile, invece di essere solo un pur riuscito divertissement sull’identità di genere, avrebbe potuto virare in modo forse più profondo su come oggi quegli stereotipi siano completamente cambiati, essendosi fusi finalmente in una consapevolezza del mondo più reale e matura».

Eolo-ragazzi.it, Stelle lontane – Cira Santoro

Riflessioni a margine dello spettacolo

«Davanti a Il diario di Adamo ed Eva di Scena Verticale, visto a Matera nel corso di questo bellissimo Maggio all’Infanzia 2018, non ho potuto fare a meno di pensare al libro di Harari e connettere le domande di genere, che ormai da qualche anno guidano il mio sguardo nella visione degli spettacoli di Teatro Ragazzi all’evoluzione dell’umanità di Harari. Sono sempre più convinta che il Teatro Ragazzi debba darsi degli strumenti per orientarsi tra luoghi comuni, stereotipi e pregiudizi che, oltre a incidere nella vita delle persone formano modelli. Per dirla ancora con Harari, generano credenze. […]Lo spettacolo di Scena Verticale, che si è posto l’obiettivo di parlare di differenza sessuale, ha suscitato molte domande […] Perché parlare della guerra dei sessi ai bambini di oggi?  Nella scheda dello spettacolo si dice che questa è antica quanto l’umanità e per dimostrarlo il regista Dario De Luca, ricorre alla parabola biblica di Adamo ed Eva, che pur filtrata dalla versione di Mark Twain, rimane fondativa non solo dei rapporti tra i generi ma anche della loro percezione nel mondo. Adamo affidabile e di parola, anche se un po’ boccalone, Eva inaffidabile e pericolosa grazie anche alla sua sveglissima intelligenza. Chi segue il serpente? Chi osa entrare nel terreno del proibito? Chi provoca la cacciata dal Paradiso terrestre con conseguente complesso di colpa da cui ancora oggi, noi nate nella parte di mondo cristiana, non riusciamo a riscattarci? Se seguiamo le tracce di Harari la guerra dei generi – e non tra i sessi – potrebbe cominciare da qui e, secondo ciò che vediamo e viviamo non è ancora finita. Come scardiniamo questa narrazione? Ci basta ricorrere a Mark Twain e al suo Diario di Adamo ed Eva? […] Cos’è la diversità di genere? E come possiamo individuare gli stereotipi? […]Pur rimaneggiandolo, questo testo dà alla storia biblica una connotazione ben precisa, in cui il rapporto tra i sessi è regolato solo ed esclusivamente dalle differenze di genere ma la vera domanda è: come facciamo a smontare gli stereotipi? L’arma dell’ironia, a cui i bravi Elisabetta Raimondi Lucchetti e Davide Fasano ricorrono, è sufficiente per disattivarli davanti al pubblico bambino? E soprattutto perché raccontarli ai bambini dagli otto anni in su? Non ne vedono e subiscono abbastanza in televisione, tramite la pubblicità e con i giocattoli, sempre più sessualizzati e settorializzati al punto che nei negozi di giocattoli ci sono intere corsie rosa alternate a corsie blu? Qual è l’alternativa per raccontare i generi?

Apollinea – Lorena Martufi – novembre/dicembre 2019

Da “Il Dario di Adamo ed Eva”, romanzo di Mark Twain, il regista Dario De Luca trae un vero e proprio capolavoro di regia, andando oltre il testo letterario e conquistandolo. Spogliato dalla sua didascalica forma diaristica, ma allo stesso tempo fedele al testo originale nei dialoghi intensi e densi di poesia, l’opera di De Luca ci porta dentro al Paradiso terrestre in un quadro incantevole e scenicamente perfetto, degno di palcoscenici di fama nazionale. Tutto si svolge sapientemente con equilibrio e misura, su una scenografia di evocazione shakespeariana che è un inno alla natura, al creato, alla vita, al centro della quale domina un grande Albero “melevisivo” sullo sfondo di un azzurro poetico che cita certamente Bob Wilson, maestro delle luci e del sogno.

La cop(p)ia dei nostri progenitori parla di tutti gli amori del mondo. Lei (Elisabetta Raimondi) ha già in nuce Giulietta, con l’amore e la passione del bello, romantica, parla alla luna di colui con cui il quale convive in una sorta di esperimento a due in cui Dio è chiamato a entrare ogni volta che i due si interrogano, si isolano o si fraintendono. Sono già agli antipodi, ma necessari e indispensabili, anche se incomprensibili. Lui (Davide Fasano), anticipatore di un maschio non proprio sapiens, che sbraita e disincanta lei puntualmente, perfino se con cura sceglie i nomi da dare alle cose del Paradiso, è già promessa del teatro, padrone di espressioni, mimica e presenza scenica, anche quando agita il Serpente per tentare la sua Eva. Ogni donna potrà riconoscere in Adamo il suo uomo incostante, pigro, bugiardo, disattento e strambo. Ogni uomo potrà riconoscere in Eva la sua donna sensuale, curiosa, artificiosa, farneticante, vanitosa. Ma come scriveva Alfred de Musset, “se c’è al mondo una cosa santa e sublime è l’unione di questi due esseri imperfetti e vuoti”.

Non c’è morte nel Giardino (la sola parola, pronunciata da Adamo, fa tuonare l’Eden), ma c’è il dolore. È quello di Eva, ogni volta che Adamo si allontana, è quello di Adamo quando Eva tace. Il dialogo tra i due, duetto perfetto rivolto alla luna, è di una bellezza che non è ancora nel mondo: ADAMO ED EVA – Se uno di noi dovesse morire per prima spero di essere io…

EVA – Perché Lui può farcela.

ADAMO – Perché Lei può farcela.

ADAMO – Io no.

EVA – Io no.

Quello che succede dopo la tentazione, suggerita all’interno dell’albero che si apre a scatola offendo a Eva la mela della conoscenza, è il caos, inferno, danza che travolge e spazza la scenografia e gli stessi attori. L’ira di Dio arriva inesorabile a scatenare furibonda, sulle note di un violino disarmante, la cacciata dei progenitori dal Paradiso terrestre attraverso il lancio sulla scena di grigi e pesanti pigiami di flanella, divise di condanna da scontare nel mondo. L’inganno è compiuto, la coscienza, dipinta sui volti con lo sguardo che cerca il pubblico sconvolto, ha vinto per sempre. E il gioco d’ombre finale che si svolge come un film muto dei primi anni venti, sulla traccia comune nascita-amore-morte, è una dichiarazione d’amore indimenticabile a lei, fiore, esposto alla luna, in mezzo al deserto. “Ovunque lei sia stata, quello era l’Eden”.

Asteriscoduepuntozero.it – Francesco Gallo – 11/12/ 018

Raccontare un capolavoro non è mai compito semplice: il pericolo è quello di immiserirlo, cedendo alla tentazione di una spiegazione qualunque. Se il capolavoro che si vuole raccontare è poi di un certo Mark Twain, allora il rischio diventa impresa e se a guardarlo sarà un pubblico dai 6 ai 99 anni, allora l’impresa dovrà superare persino il pranzo domenicale della suocera.

Non ero mai stato al Teatro Morelli, storico teatro cosentino che guarda al Busento, aperto già negli anni ’30 e poi semidistrutto dai bombardamenti del 12 aprile del 1943. Non c’ero mai stato perché chiuso da metà degli anni ’90 e riaperto solo il 5 novembre 2008, quando era già iniziata la mia vita al Nord.

La macchina parcheggiata dall’altro lato del fiume, nei pressi dell’ex Edificio delle Regie Poste e Telegrafi, permette una passeggiata di poche centinaia di metri, sufficiente a godere della vista di uno dei centri storici più belli d’Italia. se a tanta bellezza si accompagnasse il medesimo rispetto, allora la mia terra sarebbe meravigliosa.

I biglietti per lo spettacolo sono prenotati, ma il Teatro Morelli è grande, la sua capienza di 626 posti fa della prenotazione un atto di estrema prudenza. L’attesa nel foyer, che sfoggia una bella macchina per proiezioni, permette di salutare Dario e Debora e di incontrare Rosa Maria, compagna di viaggio del mio ritorno teatrale.

Cosenza è una città. È evidente dalla lingua rubata ai colloqui degli spettatori, dai vestiti che indossano e da qualche cappello di bella foggia.

Ismaele è impaziente.

– Papà, quando ci fanno entrare?

L’ingresso è rassicurante, tonalità di arancio colorano il teatro ristrutturato e oggi affidato al Progetto More di Scena Verticale, i posti scelti sono comodi, centrali e non troppo vicini al palcoscenico, adatti all’approccio cauto di mio figlio.

Ci siamo. Avvertito Ismaele della presenza del serpente, lo spettacolo può iniziare.

L’incipit è affidato alle ombre: un perfetto gioco di luci proietta i corpi degli attori sul palcoscenico della narrazione. Il caos, piano piano, lascia spazio al cosmos. Dal molteplice all’uno, dall’àpeiron, indeterminato greco della forma, al definito, dal buio alla luce.

Sarà proprio la distinzione dell’essere, la guerra dei sessi come si legge nel foglio di sala, a strutturare e caratterizzare il testo ripercorso sapientemente da Dario De Luca, che oltre a curare la drammaturgia firma anche la regia dell’allestimento. I rimandi iniziali sono quelli della preistoria, ma via via la storia cede il passo a quello che Foucault avrebbe chiamato archeologia dell’uomo. La linea di demarcazione, segnata da Adamo (interpretato dal bravissimo Davide Fasano) dapprima come confine, diventa, successivamente, soglia: sull’uscio una strana figura di sapere chiamata Eva (superlativa Elisabetta Raimondi Lucchetti).

Le parole e le cose si abbracciano: l’opposizione fra maschile e femminile diventa necessaria a dare nome al mondo, i comportamenti dei due progenitori introducono una differenza significativa nel campo del sapere. I dialoghi con l’immensa luce, il capo, sono la via d’accesso ad una verità che ha nuovamente il compito di riportare ad unità la narrazione.

I miracoli del paradiso di cartapesta, creato da Rita Zangari, sono i gesti di una primordiale umanità: l’ombrello di Adamo (a cui probabilmente si sarebbe potuta aggiungere una sottolineatura sonora che suggerisse la scoperta della pioggia) e il salvataggio di Eva dal suo tratto narcisistico incorniciano la vita di questa bella d’erbe famiglia e d’animali.

Ciò che il serpente, creato da Angelo Gallo, non dice è restituito nel testo dall’amore per l’immagine:  un narcisismo che non passa per l’adorazione di se stesso, bensì dall’amore per il superfluo. Forse proprio l’amore del superfluo è la cifra dello spettacolo di Scena Verticale, lontano dalla logica dell’utilitarismo, una sinfonia continua a valere più di un vestito, la luna più di una clava, la poesia della luce più del finale di questa piccola bagattella.

Ismaele è felice: attribuisce dieci allo spettacolo e forse da domani avrà meno paura degli effetti speciali.

Così si cresce.