[…] un avvolgente show di teatro/canzone: Morir sì giovane e in andropausa, titolo divertente e argomento delicatissimo come la precarietà coatta dei trenta/quarantenni. Humour e autoironia, costruzione attenta dei testi che non disdegnano gli effetti comici e soprattutto una band strepitosa. Musica e parole, anche affilate, per esorcizzare un presente che richiede molti e radicali correttivi.
Il nume è Gaber ma con la scintilla dell’originalità.
Diciamo la verità, ci eravamo un po’ stancati degli epigoni del signor G. Poi è arrivato Dario De Luca, che non è un cantante ma un attore che sa cantare, e abbiamo cambiato idea. Il nume tutelare di Morir sì giovane e in andropausa resta Gaber, ma in questo affresco in otto quadri e canzoni che racconta un’Italia piaggiata sulle secche corrotte della gerontocrazia c’è la scintilla di un percorso inedito. Il tema è serio, ma il passo è leggero, a tratti spavaldo, musicalmente sorprendente (merito anche del coautore Giuseppe Vincenzi e dell’ottima Mini Omissis Orchestra). Ci sono ironia, sberleffo, satira, cura drammaturgica e un gran gusto per il gioco teatrale. E anche Buscaglione può diventare un modo per cantare l’indignazione. Da vedere e da tenere nell’iPod.
La vena pop di Scena Verticale.
Sempre a Castiglioncello sorprende la virata di Dario De Luca, fondatore e anima con Saverio La Ruina del gruppo di Scena Verticale, che con Morir sì giovane e in andropausa, atto unico in otto quadri e canzoni, calca le scene come un front man di provata esperienza pop-rock, sostenuto con bella enfasi dalla Omissis Mini Órchestra (canzoni e musica di Giuseppe Vincenzi). Il tema dello spettacolo non tradisce la natura grintosa, impegnata e spesso di denuncia che hanno i lavori di Scena Verticale – qui dedicata alla gerontocrazia che congela i giovani e condanna al limbo le generazioni di mezzo -, ma con arguzia divertita, una fuga sonora con impeto rock. Se non ci resta che ridere, sembra intendere De Luca, facciamolo con intelligente ironia, senza abbassare la guardia.
Eterna giovinezza, precarietà, disoccupazione. E poi lefurbizie del Belpaese, tra falsi invalidi e pensioni dimorti riscosse per anni. L’Italia non è un paese per giovani,ormai si sa. I cosiddetti “giovani” hanno l’età in liree i diritti in euro, il curriculum scritto quando ancora non esisteva Windows. Sono rimasti al palo perchétutto l’occupabile è occupato da dinosauri inamovibili,infestanti e soffocanti come i fiori di loto senza avernecerto né la grazia né la bellezza. Dario De Luca, già fondatore,autore e attore della compagnia Scena Verticale,dice di essere passato direttamente da “cantante da doccia” al palcoscenico. Chapeau! Ce ne sonotanti che sarebbe meglio facessero il percorso inverso.È una vera bella sorpresa lo spettacolo che ha propostoa Castiglioncello, una forma inedita di teatrocanzone,piena di arguzia e di intelligenza nei testiquanto brillante nella parte musicale (con l’ottimaOmissis Mini Órchestra), che mescola in modo originalesonorità swing, jazz, rythm n’blues e rock n’roll. ConSergio Caputo nume tutelare. Sostiene, De Luca, di averebislacche parentele con il teatro-canzone di GiorgioGaber, con Enzo Jannacci e Paolo Rossi. Vero, ma poi prende una strada tutta sua. E si rivela, oltre che ottimoattore (ma questo già lo sapevamo), un formidabilefrontman dalla voce calda e suadente, sornione comeun gatto capace di sfoderare gli artigli quando meno telo aspetti. Affronta un tema che potrebbe farlo scivolarenel vittimismo. Invece no. Snocciola sogni e bisogni di una generazione senza futuro, quella dei trenta-quarantenni,con sana e feroce (auto)ironia. Divora libri apranzo e cena perché non è vero che con la culturanon si mangia. Poi, avvolto nel tricolore e con mitriavescovile, fa una predica quasi blasfema sui miracoliitaliani, il boom economico e Berlusconi. Intanto dalla giovinezza all’andropausa il passo è sempre più breve e l’età adulta si salta a piè pari. Con l’italica benedizionedello Stato, della politica e della società. O forse sarebbemeglio dire l’estrema unzione. E non a caso lospettacolo si chiude con una geniale riscrittura diGuarda che luna di Buscaglione, che si trasforma primain marcia funebre da banda di paese e poi, inaspettatamente,nei ritmi “vitali” di un funerale di New Orleans.Forse non tutto è perduto.
Cariatidi e precari in musica con De Luca. Testi e canzoni alla Gaber, ritmi alla Buscaglione: uno spettacolo in otto quadri per descrivere l’Italia L’Italia non è un Paese per giovani. Questo si sa, ma per una volta il cahier de doléances è divertente, originale e per nulla scontato. Merito di Dario De Luca, fondatore con Saverio La Ruina della compagnia calabrese Scena Verticale. Con la complicità di Giuseppe Vincenzi, ingegnere e ottimo musicista, De Luca ha dato un calcio al pudore e si è scoperto cantante per raccontare, sul filo dell’intelligenza e dell’ironia, lo stato comatoso di un’Italia gerontocratica dove l’altra faccia del mito di un’eterna giovinezza di plastica è il precariato cronico. Economico, ma soprattutto esistenziale. Il risultato è Morir sì giovane e in andropausa, sorprendente variazione di un teatro canzone «figlio naturale, in senso artistico, di Giorgio Gaber, nipote acquisito di zio Enzo Jannacci, fratello minore, di secondo letto, di Paolo Rossi», come lo definisce il suo autore che qui rivela un’anima swing degna di Fred Buscaglione. Che infatti viene degnamente citato con un irresistibile rifacimento di Guarda che luna in forma di sgangherata marcia funebre. Accompagnato da brillanti musicisti della Omissis Mini Orchestra (Paolo Chiaia, Gianfranco De Franco, Giuseppe Oliveto, Emanuele Gallo, Francesco Montebello), De Luca canta, balla, racconta un paese dove si è giovani in due diverse accezioni «per giustificare chi a 80 anni non è ancora seduto su una sedia e chi, nonostante i suoi 80 anni, ancora non molla la sedia». Un cabaret-teatral musicale in otto quadri che tra le pieghe divertite del suo temperamento rock nasconde l’indignazione della denuncia e non teme l’affondo iconoclasta. Guitto con talento da frontman, De Luca mette a punto un gioco leggero di passo e denso di contenuti. Niente retorica, niente lamenti, niente moralismi. Al loro posto buona musica, parole intelligenti e pensieri che invitano a restare vigili. Molto dipende anche da noi.
Generi teatrali a confronto
[…] Con l’arguto, intelligente e simpatico Dario De Luca, rivelazione della passata stagione festivaliera, al Filodrammatici scende in campo invece il teatro-canzone genere più che mai di moda. Forse strizzando l’occhio più a Fred Buscaglione che a Gaber, il bravo e calabrese Dario con Morir sì giovane e in andropausa.
La gioventù in cerca di lavoro con l’ironia del teatro canzone
Al termine applausi e ancora applausi per Dario De Luca e la Omissis Mini Orchestra, tanto da arrivare al bis, con l’ultimo, coinvolgente divertimento cantato «Dimettiti!», mescolandosi ancora satira politica, gioco farsesco e amaro scherzo. Uno spettacolo trascinante «Morir sì giovane e in andropausa – atto unico in 8 quadri e canzoni» che, dopo un avvio forse difficile, non del tutto piena la sala al Teatro al Parco, ha farro crescere la partecipazione del pubblico, che ha riso volentieri, apprezzando l’ironia, l’intelligente leggerezza. Il teatro canzone torna così in scena giocando in forma ironica,sarcastica, anche un po’ surreale,con le parole, una scelta coraggiosa e originale di Scena Verticale, una compagnia che ha saputo farsi apprezzare in questi anni sia con i propri spettacoli che con il Festival di Castrovillari, diversi i premi dell’Associazione Critici e Ubu, direttori artistici proprio Dario De Luca e Saverio La Ruina (a Parma negli stessi giorni con «Italianesi»). Qui il tema del lavoro impossibile, l’invecchiare in casa senza poter sperimentare autonomia e libertà, il moltiplicarsi di patologie – qui naturalmente un po’ folli – derivate da delusione e scontentezza esistenziali, tutti temi che tendono ad immalinconire, vissuti quotidianamente nelle famiglie, acquista speciale levità, una freschezza che nasce dal sorriso, mescolando forme dell’assurdo e dell’eccesso, trovando solidarietà nel pubblico sempre più divertito. Molto bravi anche i musicisti, Paolo Chiaia (piano synth e armonica), Gianfranco De Franco (clarinetto, sax, flauti e loop), Giuseppe Oliveto (trombone, flicorno, fisarmonica e conchiglie), Emanuele Gallo (basso), Francesco Montebello (batteria e percussioni) che partecipano anche teatralmente allo spettacolo, componendo piccole azioni, commentando con suoni e sguardi. Con luci che mutano gli sfondi, creando ombre e atmosfere spesso di colori acidi. «L’unico modo per trovare lavoro è trovarlo all’estero». Laureati pronti ad adattarsi a tutto. La cultura? Un intralcio – a meno che non si arrivi a mangiar libri! Malinconia in «Hasta la vista!» che coinvolge, non solo nella quasi-rima, anche la sinistra.
Dal festival Primavera dei Teatri
[…] Fuori sacco, l’anteprima ancora in progress di Morir sì giovane e in andropausa riconferma l’originalità drammaturgica ed attorale di Dario De Luca che, coadiuvato in scena da un’affiatata badn di musicisti, canta, sciorina arguti giochi di parole, sapide parodie di canzoni d’antan, in un’acuta, gustosa e spesso emotivamente coinvolgente satira dell’ambigua condizione dei giovani, ai nostri tempi.
[…] Primavera dei Teatri si è chiusa con l’edizione definitiva, dopo lo studio proposto lo scorso anno e la tournée in varie piazze del nord, di Morir sì giovane e in andropausa, prodotto da Scena Verticale. Credo si possa a buon diritto inserire lo spettacolo nella nobile tradizione, anche italiana, del cabaret, inteso come satira politica e sociale affidata alla parola e alla musica. Il tema, come suggerisce il titolo, è la dilatazione semantica subita dalla parola “giovane”, esplorata con intelligente ironia, mediante un gioco di rimandi fra battute e musica, dove la Omissis Mini Orchestra, in controluce su un fondale rosso, ha una rilevanza scenica non inferiore a quella dell’ammiccante Dario De Luca che, oltre al già sperimentato talento drammaturgico, registico e attorale, sfodera qui inattese qualità canore nelle canzoni di Giuseppe Vincenzi, alcune originali, altre in forma di parodia, come l’accattivante, amara Hasta la vista, sinistra. E così si chiude anche la XIV edizione di Primavera dei Teatri, che riconferma il suo ruolo di punto d’incontro, di testimonianza e resistenza di una realtà teatrale italiana, ancora variegata e vitale, malgrado l’avvilente stagnamento delle politiche culturali di chi dovrebbe governarci. […]
Morir sì giovane e in andropausa, spettacolo teatral-canoro imbastito con molta ironia da Giuseppe Vincenzi e Dario De Luca pure regista, assieme ad una band affiatata e di tutto rilievo, che fa il blow-up ai temi più scottanti del mondo attuale: dalla disoccupazione giovanile al mondo delle varie caste politiche ed economiche, comprese le fobie del nostro vivere contemporaneo oscillante tra bisogni e desideri inappagati, senza che all’orizzonte si vedano nuovi spiragli per i trenta-quaratenni, destinati in una società gerontocratica ad invecchiare senza lavoro e senza una pensione.
L’esordio è nel segno di una rivisitazione originale del teatro canzone, un cabaret di grande modernità dove testo e musica si fondono grazie alla forte presenza scenica dell’ideatore e interprete dello spettacolo. Formidabili i musicisti che mescolano sonorità diverse, dal jazz al blues fino al rock and roll. Un testo che arriva dritto al cuore grazie all’ironia pungente, delicata come un sorriso amaro, critico ma pesante. L’eterna maledetta giovinezza è la maschera della precarietà dell’Italia: non è un paese per giovani dove la politica è un postificio del nulla. Tema di moda, anche troppo? Sì ma lo spettacolo vale la pena! La stagione del Teatro Filodrammatici si apre con un tema di attualità, giocando d’anticipo con uno spettacolo che sarà in programma per la primavera 2013. L’attacco è ben riuscito e come in un articolo di giornale invita a leggere il seguito. Ottimo esordio che conferma la vocazione all’attualità di questa teatro giovane, pronto alla sperimentazione, alla contaminazione di generi e riletture. Il tema è quello del precariato, simbolicamente incarnato dal protagonista ed ideatore dello spettacolo, calabrese per giunta. La patria della disoccupazione, inoccupazione o ‘inoccupatia’, assimilandola ad una malattia, d’Italia si mette in scena. L’iniziativa ripropone una sorta di cabaret moderno, molto fresco, con delle punte tipiche da teatro sperimentale che tiene conto della tradizione del teatro canzone, da Giorgio Gaber a Enzo Jannacci fino a Paolo Rossi. L’elemento vincente è la continuità di parole che diventano canzoni, canzoni musicate che sfumano nella prosa. Il protagonista convince per l’abilità nel tenere la scena che presenzia, riempie, non invade; la scioltezza naturale del muoversi sul palcoscenico e la bella voce: una sorpresa. Tutti rigorosamente a piedi nudi, una metafora? Nudi di fronte alla vita, scalzi come simbolo di miseria dilagante o semplicemente aderenti alla terra, senza distanze rispetto al pubblico? Forse tutte le cose insieme. I musicisti nelle loro sonorità contaminate, una ricchezza di strumenti in scena, dalla batteria al sintetizzatore, a flauto traverso, sax, trombone ed altri su un impianto jazzistico, sono sorprendenti rivelando anche doti recitative notevoli. Il testo è una sorpresa. Non utilizza gli stereotipi classici della satira aggressiva e un po’ volgare, così ‘rivelata’ da far mancare solo i nomi e cognomi troppo spesso maccheronicamente artefatti, quanto riconoscibili ai più. La scelta in questo caso è diversa: è il canto e il lamento di un giovane che giovane non lo è più così tanto. E’ un uomo giovane di quarant’anni, che dovrebbe essere nel momento della maturità professionale ovvero su un trampolino di lancio, mentre invece è ancora un precario e per giunta deve ritenersi fortunato. Un ragazzo calabrese che vuole fare l’attore o è pazzo o è tremendamente ingenuo e se addirittura riesce a sbarcare il lunario…beh, deve proprio ritenersi fortunato. Il monologo fitto, anche di gag, di episodi, di racconti e confidenze amare del proprio malessere – dove chi dovrebbe curare, come lo psicologo, mangia sui tuoi mali e fa vivere le paure come un assegno circolare – diventa una denuncia alla politica senza appelli, così ben congeniata da essere credibile. E il sorriso lascia il posto all’amarezza. Assolutamente apprezzabile l’affidamento alla fede e ad un ritorno di religiosità popolare, talora condita con la tecnologia che fonde e confonde speranza e magia – la ricerca della fortuna su Internet fino a soluzioni paradossali quali la reincarnazione a fini professionali – e l’affidamento a dio. Sottile, senza derive. Un tema di attualità e anche di moda che non si sfilaccia nella storia. Anzi offre un crescendo con momenti lirici e perfino poetici, dove la musica conferisce una nota struggente; altri che avvicinano i testi e l’uso del suono al rap più giovane e impegnato. Viene in mente l’esordio di “Aden Arabia” dell’intellettuale francese Paul Nizan, chi l’ha detto che avere vent’anni sia il sogno; è piuttosto un’età maledetta nella quale il mondo rischia di rovinarci per sempre e siamo di fronte all’impresa quanto mai ardua di trovare un posto nel mondo. Quel posto che è occupato da altri, ottantenni considerati giovani per autogiustificarsi di non mollare la poltrona; mentre poi resteremo giovani in quanto non realizzati, fino ad invecchiare dentro per morire di precarietà. Finalmente uno spettacolo dove l’ironia ci risparmia da qualsiasi sbavatura e volgarità. Questa è l’arte di far ridere, catartica per condividere un destino infausto che ci tocca, restituendo al teatro il ruolo di terapeuta collettivo dove intrattenimento e didattica si fondono.
La dialettica a teatro può diventare godimento. Inquadrare il descritto da renderlo traccia cutanea. Quando e se è efficace: non autoreferenziale, universale e dilettosa. Che sciorini da un microfono, da un coro, o sia voce di corpi, o artifici visuali contemplativi. Che venga veicolata dalla musica o dettagliata grazie al canto. Il teatro canzone è un genere mosca bianca per storia e godibilità. Basterebbe pensare alla poca attenzione destinata da pubblico e artisti dopo Gaber. Probabilmente per il timore del dissacrare un raggiungimento qualitativo giunto all’apice di perfezione, da risultare icona sacra-nicchia da non far altro che venerare. Spolverandone la teca di tanto in tanto. O perché intimoriti, i teatranti, nel misurarsi con un genere non comodissimo, per cui risultare bene è davvero coraggioso. Onore dunque al semplice tentativo, ai ragazzi di Scena Verticale alle prese con il nuovo spettacolo itinerante Morir sì giovane e in andropausa – sì, la frase, per metà, è quella esclamata da Violetta ne LaTraviata. Quando poi il coraggio è premiato dalla godibilità dell’allestito, è en plein. Debuttante al festival di Castiglioncello, il tracciato riscuote successi di pubblico (e che pubblico), e critica (e che critica). E dissensi. Ma diceva qualcuno altolocato intellettualmente che il dissenso alimenta la democrazia; e se qui da noi in cui il concetto sta diventando sempre più relativo, che ben vengano allora le voci contro. Sull’Italietta Dario De Luca e la Omissis Mini Orchestra – Paolo Chiaia (piano synth e armonica), Gianfranco De Franco (clarinetto, sax, flauti, loop), Emanuele Gallo (basso), Giuseppe Oliveto (trombone, flicorno, fisarmonica, conchiglie) Francesco Montebello (batteria e percussioni) – fa ridere, commuovere, riflettere, nelle due ore di messinscena alternando il monologare scritto e interpretato da De Luca al musicato arrangiato e composto da Giuseppe Vincenzi. Gustoso. Sarà per la pertinenza dei testi alla dimensione socio-culturale attuale, critica, affrontata in scena senza mai ricorrere al retorico o scemare nel petulante. Riflettendo invece attraverso il ricamare un linguaggio scenico espressivo di efficacia cristallina, veicolato dall’andatura confortevole delle note. Sarà per il recitato/cassa di risonanza, tracciando con ironia, di un sentire comune esplicitato in un taglio croccante, di alta godibilità, divertente. Avrebbe annuito Jean Jenet fosse stato spettatore: un modo per specchiarsi sul palco, per chi osserva dalla platea, in sembianze quali non si riuscirebbe a essere. Un’indagine alla maniera di Gaber, prendendo in prestito la satira alla Paolo Rossi dei tempi migliori, confezionata con i segni riconoscibili del tratteggio teatrale di De Luca. Spontaneità e talento, ingegno drammaturgico e grammatica di scena scorrevole, leggerezza e riflessione. Ascoltando resoconti tragicomici che sono sotto gli occhi di tutti ma nessuno apre bocca per parlare. Per paura di quei padroni che Dario De Luca, sul palco, sbeffeggia, con tanto di nomi e cognomi. Applausi.
[…] Infine Dario De Luca, di Scena Verticale, cambia decisamente il registro del suo teatro e, appoggiandosi sulle parole di Giuseppe Vincenzi, in Morir sì giovane e in andropausa – atto unico in otto quadri e canzoni – riporta in auge in modo personale il teatro-canzone di gaberiana memoria per parlare del tema attualissimo della precarietà. Parla e canta di tante cose Dario, partendo proprio dai molti aspetti della sua condizione di attore, precario, giunto ad un’età che manca decisamente di confini definiti. Parla e canta quindi del concetto abusato di giovane, dell’età fragile dei quarantenni dove nulla è certo, inventando neologismi per entrare di petto in un periodo come il nostro, dove nulla può essere dato più per scontato. E spesso lo fa partendo dalla sua Calabria, dove ancor più la morsa dell’incertezza ha sempre condizionato il futuro di uomini e donne. Non tutto il repertorio delle invettive è dello stesso livello, e qualche volta si rischia la facile demagogia, ma la sincerità degli accenti, che si mescola all’ostentato sarcasmo per una realtà non più sostenibile, rende lo spettacolo accattivante e necessario. La Omissis Mini Orchestra, coinvolta per l’occasione, asseconda perfettamente le intenzioni del protagonista, producendosi anche in momenti di godibile teatralità.
Un fuori programma divertente, ironico, sagace, il concerto spettacolo Morir sì giovane e in andropausa con un ottimo mattatore Dario De Lucae la sua vivace band di musicisti affiatati. Piacevole intrattenimento musicale (una produzione di Scena Verticale) dove attraverso la musica si poteva viaggiare nelle contraddizioni di un’Italia poco incline a salvaguardare i propri talenti e le sue risorse migliori.
[…] Abbiamo sentito Scena Verticale. Si, sentito perché “Morir sì giovane… e in andropausa” proposto da Dario De Luca e la sua band è il primo vero ritorno al genere del teatro canzone dalla morte di Gaber, che tenti di andare oltre Gaber. E’ un primo passo, musicalmente interessante, teatralmente da studiare per testi e pause, che fa scoprire un talento di De Luca su cui non ci sentiamo di mettere, come nella trasmissione della Dandini, il timbro “rifiutato dallo sponsor”. C’è coraggio in questa scelta. Serve volare più in alto con i testi, lasciando da parte alcuni trucchi del mestiere del teatro, perché Giorgio è sempre lì in alto che guarda. C’era pure chi gli chiedeva il cd. Così terribile quindi per il pubblico non deve essere stato. Certo per noi fottuti puristi e male lingue, un cambio di rotta, una cosa così diversa… Ma vaffanculo sti critici: senza ardimento non nasce il nuovo. Vai Dario! Serve più poesia e coraggio, però. Coraggio! […]
Il paradosso della società italiana sta già tutto nel titolo dell’ultimo lavoro di Dario De Luca […] Un paradosso che, nel caso di “Morir sì giovane e in andropausa” […] sceglie la cifra stilistica dell’ironia e della leggerezza. Del resto, non c’è modo migliore di veicolare un messaggio di denuncia sociale che quello dell’apparente levità. […] I testi (scritti da Dario DeLuca e Giuseppe Vincenzi) sono acuti e divertenti. Si ride, ma con l’amaro in bocca, dinnanzi alle scene dell’aspirante lavoratore che impegna il suo tempo unicamente nello spedire il curriculum, o di quello che, pur lavorando, non ha abbastanza soldi per fare tre pasti al giorno. A meno di non rivolgersi a mammà, naturalmente. Da qui una serie di fobie che accompagnano la vita di tutti i giorni. E poco importa se le paure in questione sono solo suggestioni. Loro restano lì, imperterrite. Sul palco, insieme a Dario De Luca, c’è anche la Omissis Mini Orchestra, una formazione ben equilibrata ed affiatata […]
A piedi nudi sul palco, va in scena una generazione senza lavoro. “L’unico modo per trovare lavoro in Italia è trovarlo all’estero”, poche battute che racchiudono un’amara verità. Il testo di Dario De Luca e Giuseppe Vincenzi, narra in otto quadri e canzoni, una realtà che riguarda i nostri giovani: ventenni, trentenni, alcuni purtroppo ormai quarantenni, che trascorrono le loro giornate inviando curriculum che nessuno leggerà. Morir sì giovane con linguaggio semplice, immediato racconta del lavoro che non c’è. In scena anche la musica di Giuseppe Vincenzi, parte integrante di questo spettacolo. Voce narrante Dario De Luca, buon interprete anche nel canto, sembra dirci continuamente: “Lasciate che vi dica la verità” come un novello Lenny Bruce, racconta veleni, amarezze quotidiane di una parte sempre più numerosa di Italiani che vivono costantemente di sacrifici. A piedi nudi sul palco, non solo Dario De Luca ma anche i musicisti della Omissis mini Orchestra che duettano con il pubblico, sottolineano passaggi significativi del testo, assumendo un ruolo fondamentale nello spettacolo. La OMO, fortemente voluta da Dario De Luca, composta daPaolo Chiaia (piano synth e armonica), Gianfranco De Franco (clarinetto, sax, flauti e loop), Giuseppe Oliveto (trombone, flicorno, fisarmonica e conchiglie), Emanuele Gallo (basso), Francesco Montebello (batteria e percussioni), nasce da un progetto di teatro canzone della compagnia Scena Verticale. Si percorrono diversi generi musicali, per poi sfociare in uno swing evocativo, omaggio a Fred Buscaglione con Guarda che luna. Un piccolo accenno allo stile dixieland e come d’incanto si crea una magia musicale. Le luci di Gennaro Dolce sottolineano passaggi dal canto alla recitazione con sfumature efficaci. La regia di Dario De Luca costruisce un buon legame dialettico tra il testo il canto e gli accompagnamenti musicali. Tuttavia la scelta di utilizzare sia per la recitazione, sia per il canto un microfono ad asta sacrifica in parte l’azione scenica del monologo. Gli otto quadri citati nel titolo, volutamente tenuti insieme dagli ottimi interventi musicali più che da una struttura drammaturgica vera e propria, corrono verso un finale emblematico che lascia la scena completamente vuota, senza parole e senza luci: tutti abbandonano il palco. Uno spettacolo orientato più verso il cabaret che il monologo teatrale, del resto l’intento della regia è ben esplicitato nel pieghevole di sala “Un progetto figlio naturale, in senso artistico, di Giorgio Gaber e del suo Teatro-Canzone; nipote acquisito di zio Enzo Iannacci; fratello minore, di secondo letto, di Paolo Rossi.” Una strada che potrà essere percorsa anche in futuro lavorando su questa varietà di stili e formule.
Una forma di teatro-canzone che ha le potenzialità per allargare i propri orizzonti
Una scena spoglia, un microfono e una band formata da cinque elementi. Dietro al microfono Dario De Luca che, con monologhi e canzoni, intrattiene il pubblico per circa novanta minuti su un tema che affligge la nostra società: la precarietà di quella fascia di trenta quarantenni che vorrebbero avere un minimo di sicurezza economica. De Luca sostiene che ”in Italia siamo sempre troppo Giovani per avere diritti sociali che ci spetterebbero, mentre per tutto il resto l’età conta e avanza regolarmente: possiamo dire che abbiamo l’età in lire e i diritti in euro.” Lo spettacolo inizia con una certa freddezza ma in tempi rapidi diventa comunicativo, grazie anche alle interpretazioni canore del protagonista sostenute dalla vitalissima presenza dei componenti della Omissis Mini Órchestra che non si limitano a suonare virtuosisticamente più strumenti ma fanno anche, all’occorrenza, da spalla a De Luca. Il quale affronta una questione importante e lo fa con ironia accompagnata da guizzi di efficace istrionismo (vedi la scena tra paziente e psicoanalista). Le fonti a cui afferma di ispirarsi (“Un progetto figlio naturale, in senso artistico, di Giorgio Gaber e del suo Teatro-Canzone; nipote acquisito di zio Enzo Iannacci; fratello minore, di secondo letto, di Paolo Rossi.”) si intravvedono sullo sfondo perché in lui, come in ognuno dei suoi maestri, si avverte l’onestà intellettuale e si potrebbe dire il ‘bisogno’ di far riflettere su temi importanti. Il problema dello spettacolo sta però proprio nel fatto che non di ‘temi’ si tratta ma di ‘un’ tema che viene affrontato da varie angolazioni (anche con qualche caduta in quello che un tempo si chiamava qualunquismo e che oggi si cataloga sotto altre definizioni). Manca cioè al testo la capacità di andare ‘oltre’, di scrutare e indagare il piano dei sentimenti, dell’affettività, dell’intimo elementi che vengono invece lasciati ai margini se non addirittura in camerino. La coppia De Luca-Vincenzi è valida ma per avvicinarsi a Gaber-Luporini deve trovare il coraggio di allargare i propri orizzonti. Le potenzialità ci sono tutte. Basta volerlo.
Ogni uomo, per sentirsi vivo, ha bisogno di rivendicare una propria presenza, un ruolo nella società, inequivocabile e responsabile. Per farlo, necessita di un serie di condizioni: la certezza della sua storia; della sua memoria culturale. Quando questo viene a mancare, s’insinua un disagio, che- se esasperato- produce una crisi. Morir sì giovane e in andropausa, atto unico in sette quadri e canzoni, si fa carico di questo disfacimento. Il monologo, inframmezzato da canzoni inedite, è uno spettacolo nato dallo sforzo creativo di Dario De Luca e Giuseppe Vincenzi. Fondatore insieme a Saverio La Ruina della famosa ed affermata compagnia teatrale Scena Verticale di Castrovillari (Cs), De Luca è un domatore, in scena. Padrone assoluto del testo, di cui è autore, mette a nudo con una sopraffina sottigliezza vizi e pene dell’esser giovane in Italia, senza lavoro e diritti. Un atto creativo eccezionale, in fusione perfetta con la Omissis Mini Orchestra, formazione strumentale di altissima caratura, composta da Paolo Chiaia, Emanuele Gallo, Giuseppe Oliveto, Gianfranco De Franco e Francesco Montebello. La band è parte attiva in scena: il discorso, tutto, in tanto vive in quanto legato indissolubilmente alla musica. Forma, stile e generi scelti sono coerenti col testo. Dei musicisti, tutti- è giusto ribadirlo- di altissimo livello, colpisce la qualità del suono, la cui straordinaria caratteristica risiede in una spinta istintuale, viscerale verso la trasmissione di un sé che ha molto da dire. Bellissimo il mantello sonoro che riveste l’uomo nevrotico, contraddittorio, stanco; deluso, amareggiato e ribelle. Il testo regala una ricchezza linguistica entusiasmante, omaggio alla chiarezza ed alla puntualità. Uso molto personale delle aggettivazioni, delle similitudini. Formidabile l’impulso verso una promiscuità di competenze specifiche, richieste alla spettatore, in nome di una piena comprensione dell’opera. Comprensione che arriva, investe chi ascolta, perché disegna i tratti antropologici, sociali e patologici di ognuno, in un flusso prorompente di musica e parole, il cui leit motiv è che la “serva Italia” dantesca è un Paese che non serba riscatto per i malati di gioventù, ai quali tutto sembra negato, in una sorta di contrappasso legato al peccato di aver trangugiato troppa cultura. Il destino è morirne? Forse no, ma, finché si è in tempo, denunciare, seppure con sapiente e creativa leggerezza. Morir sì giovane e in andropausa è un prodotto artistico che merita il grande pubblico, i più autorevoli palcoscenici italiani ed europei, affinché si renda pregio alla straordinaria capacità di menti illuminate, intelligenze versatili, di “trasformare- per dirla con Tullio De Mauro- alterandoli, i termini di un problema e cambiare le regole del gioco”. Questo è inventare. Questo è “creare”. E, con un certo orgoglio, premere affinché si sappia che certi gioielli artistici sono calabresi, vincenti per la genuinità di pensiero e per la sorprendente abilità nel manipolare in modo imprevedibile materiali e contenuti, garantendone pienezza ed efficacia comunicativa.
[…] Una summa divertente di un tal senso di precarietà è rappresentata dall’energico “Morir sì giovane e in andropausa”, sorta di teatro-canzone a metà fra Fred Buscaglione e Giorgio Gaber, ossia fra swing e impegno sociopolitico, in cui Dario De Luca trova la sua condizione migliore, il linguaggio più adatto alle sue corde artistiche, il mezzo espressivo certamente più incisivo, specie se l’autore e attore calabrese proseguirà in questa direzione il suo percorso creativo sviluppando a fondo originalità e coerenza. Non siamo ancora alla maturità piena – e con certi modelli sarebbe stato impensabile – ma di fronte ad un ottimo inizio, con potenzialità ancora sconosciute.
[…] un avvincente e sarcastico De Luca rivela la vita di un trenta/quarantenne investito da una miriade di fobie dove il lavoro precario e la politica corrotta fanno da cornice. […] Potrebbe risultare un’ipresa impossibile quella di rispolverare il teatro-canzone di Gaber e Luporini ma Dario De Luca e la Omissis Mini Orchestra ci riescono in pieno, superando quello stile gaberiano dove la musica viene messa in secondo piano. De Luca insieme al coautore Giuseppe Vincenzi raccontano la vita di ognuno di noi in una soluzione alchemica di musica e parole assolutamente perfetta: i musicisti diventano attori, gli attori cantanti e gli strumenti musicali oggetti di scena. […] È questa l’Italia di Morir sì giovane e in andropausa, una commedia piena di sano umorismo arricchita da un magnifico crossover di jazz, swing, rock and roll, rithm ‘n blues che lascia tutti con l’amaro in bocca, catapultati a piedi scalzi nella nostra gerontocratica Nazione in cui ci si sente “giovani sempre ma liberi mai”.
Gli ingredienti c’erano tutti. Musicisti di ottima qualità, un cantattore di grande capacità e un pubblico delle grandi occasioni. La cornice: il desolante panorama politico italiano e il ruolo dei giovani, trentenni o quarantenni alla ricerca di stabilità lavorativa. La scena è quella di sempre: inviare migliaia di curriculum con la speranza che vengano letti e che si possa essere assunti nel breve periodo. E se ciò non avviene? Semplice. Emigrare, andare all’estero magari svolgendo un lavoro che non è mai coerente con i propri studi universitari. Cosa ci fa un laureato in cinematografia e arti dello spettacolo a Dortmund a confezionare panini per conto di Mc Donald? E cosa bisogna fare per rimanere in Italia e cercare un lavoro decentemente retribuito? Il politico! Da qui una serie di gag esilaranti che evidenziano l’ignoranza di molti uomini della politica e una critica molto severa ai suoi storici leader che hanno deluso profondamente le aspettative di affiliati ed elettori. Il tutto condito con uno swing, con un ritmo musicale incalzante e con uno stile che riecheggiava il Giorgio Gaber dei suoi spettacoli che tanto ghermivano la classe politica di allora – la famosa Prima Repubblica – senz’altro migliore in tanti aspetti rispetto a quella odierna. Nel cuore della commedia riflessioni serie e realiste sulla condizione dei giovani inoccupati. Disagio che spesso sfocia in momenti di ansia, depressione e forti stati di solitudine. Chiusura dedicata al nostro Papa emerito, Benedetto XVI, da poco sostituito dal neo eletto Francesco. “In Italia – declama il cantattore – le dimissioni non sono uno sport in voga: l’unico a dimettersi è stato Benedetto XVI che è tedesco e non italiano!”.
In Italia siamo sempre troppo Giovani per avere diritti sociali che ci spetterebbero, mentre per tutto il resto l’età conta e avanza regolarmente: possiamo dire che abbiamo l’età in lire e i diritti in euro! Per questo motivo oggi nel nostro Paese c’è un’intera generazione di giovani che muore. E muore soffocata da una Società, da una Politica, da uno Stato killer che non piange questi giovani, né se ne sente minimamente responsabile. Un progetto figlio naturale, in senso artistico, di Giorgio Gaber e del suo Teatro-Canzone; nipote acquisito di zio Enzo Jannacci; fratello minore, di secondo letto, di Paolo Rossi. Canzoni delle liriche semplici, monologhi dal linguaggio chiaro per una sintesi poetica che sia efficace, diretta, in qualche modo quotidiana. Lo scopo? Portare in scena la voce di una collettività, evidenziare bisogni e desideri di una generazione, quella dei trenta-quarantenni, lasciati in mutande da una società gerontocratica e senza futuro. Con la musica, le parole e una sana ironia. Musica, parole e accattivante verità. La miscela è fatta! È come assistere alle parole che solitamente frullano nella nostra testa e che, con estrema naturalezza, prendono forma verbale diventando suono. Assistere a questo spettacolo di teatro canzone è come ritrovarsi di fronte al proprio pensiero per accorgersi che esiste un unico e comune filo conduttore. Col sorriso e la semplicità della parola facciamo scorrere il suono dentro di noi attivando un confronto vivo e vivace con la nostra interiorità: è come se fossimo noi stessi a parlare su quel palco. L’ironia e la scelta sapiente della parola rende questo spettacolo gustosamente leggero e accattivante ma insieme capace di lasciare quel retrogusto amaro della verità che riconosciamo e desidereremmo cambiare. Col sorriso, assistiamo al commento dei giovani che “viviamo” e che “ci vivono” in quella quotidianità ambiguamente vestita di “giovinezza”.
“Secondo il vocabolario italiano Treccani, giovane è colui “che è nell’età giovane…che non ha ancora l’età per.. contrapposto a vecchio (anagraficamente)”. Per la società italiana, giovane ha due accezioni differenti: un uomo non appartenente alla casta è definito Giovane per giustificare il fatto che nonostante i suoi 40 anni ancora non si è seduto su alcuna sedia. Un uomo appartenente alla casta è definito Giovane per giustificare il fatto che nonostante i suoi 80 anni ancora non molla la sedia”. A questa (ed altre) verità, a questi moderni tempi italiani capaci di sovvertire ogni evidenza anagrafica, morale e sociale è offerto Morir sì giovane e in andropausa, piece col marchio di garanzia di Scena Verticale che il caro Dario De Luca oltre ad aver scritto (insieme a Giuseppe Vincenzi) interpreta e dirige. Con lui, a completare un palcoscenico tutto calabrese, la Omissis Mini Orchestra di Paolo Chiaia, Gianfranco De Franco, Giuseppe Oliveto, Emanuele Gallo, Francesco Montebello. Un monologo che è commedia, una commedia che si fa canzone, una canzone che arretra a suono quando dialoga direttamente con il testo. Dario recita e canta, tutto sembra cucito perfettamente sulle sue corde, che sono quelle buffe e caustiche, tragicomiche, ironiche e non, della bella tradizione meridionale. Il sorriso che si trasforma in una smorfia amara sull’attuale condizione di un Paese dove s’è perso il senso del pudore e della vergogna. In più, la O.M.O., un ensamble di musicisti di origine controllata (e controllata bene), ottimi esecutori, bravi ad aver trasformato con i loro arrangiamenti canzoni all’apparenza semplici in qualcosa di per nulla scontato. E capaci, infine, di fare da più che valida spalla alle gag di Dario. In meno di un anno lo spettacolo ha raccolto applausi in tutta Italia. E’ stato ai Filodrammatici di Milano dal 12 al 17 marzo e si prepara a camminare ancora. Io, di mio, sono riuscito a vederlo due volte. Ma potrei ripetermi già il prossimo 18 maggio a Lecco (Teatro della Società) visto che annoiarsi è cosa dura con questi giovani teatranti che dall’andropausa, di sicuro quella artistica, sembrano ancora ben lontani.
Applausi per Il “cantattore” Dario De Luca
E’ un Dario De Luca che non ti aspetti quello che ha letteralmente rapito gli spettatori del teatro Sybaris. Brillante e coinvolgente nella “nuova” veste di “cantattore” che fa rivivere quel genere di teatro-canzone umoristico alla Jannacci e Gaber maniera. Ha stupito molti l’attore di Scena Verticale e la sua band in Morir si giovane ma in andropausa. Abituati a vederlo in altra veste è stato un piacere ascoltarlo nel suo viaggio nelle generazioni che cercano lavoro e non lo trovano mai dove gli anni inesorabili passano senza speranza, dove si muore da vecchi ma per qualcuno si è considerati ancora giovani. Si è giovani per le istituzioni e per un paese in cui si è giovani nei doveri ma si è vecchi quando si cerca di far imporre i propri diritti. In pratica si è “precari” a vita. In questo vortice della società di oggi Dario De Luca tiene la scena da grande professionista con un linguaggio semplice, efficace, diretto e soprattutto attuale, facendo scoprire un lato che molti non conoscevano. La sua voce. Una voce che rende merito ad un artista completo e innovativo la cui bravura certamente non abbiamo scoperto oggi, forse la sua voce e il suo teatro-canzone si! I testi di Giuseppe Vincenzi, l’interpretazione di Dario De Luca e una grande Omissis mini Orchestra formata da Paolo Chiaia, Gianfranco De Franco,Giuseppe Oliveto, Emanuele Gallo e Francesco Montebello fanno di questo spettacolo di Scena Verticale un progetto bello, vincente e reale che rispecchia in maniera fedele uno spaccato di vita quotidiana della gente di Calabria.
E’ primavera inoltrata quando Dario De Luca, attore e regista teatrale della compagnia Scena Verticale di Castrovillari, decide di entrare nello studio di registrazione “Officine 33Giri” di Cosenza.Con il supporto della sua “mini orchestra” e la collaborazione di Giuseppe Vincenzi, Dario De Luca riesce a riportarci alla forma del Teatro/Canzone, in un connubio perfetto che ci ricorda la scena di Jannacci e di Gaber. Una scelta tanto ardita quanto azzeccata. Così nasce il progetto “Morir sì giovane e in Andropausa” di Giuseppe Vincenzi e Dario De Luca & Omissis Mini Orchestra. Un progetto che riesce a creare un forte contatto con il pubblico, abbattendo le barriere che il palco del teatro può creare e regalando ai presenti uno spettacolo a 360°.Ciò che colpisce di più è la capacità di ironizzare sapientemente sulla condizione di crisi che ha colpito il nostro paese, trattando, con un linguaggio chiaro e innovativo, temi sociali che toccano personalmente l’italiano medio. Tra questi spunta il Precariato, che soffoca i sogni e le aspettative di eterni “Giovani”, tra i 30 e i 40 anni, che continuano a riempire i loro curriculum di lavori a tempo determinato, fortuna permettendo, senza riuscire a scorgere un futuro stabile. Alcuni li chiamano “Choosy”. Sulla faccia della stessa medaglia fanno bella mostra di se i “Giovani” politici, ancorati alle loro lucide poltrone fino ad età avanzata. L’orchestra – composta da Paolo Chiaia (piano synth e armonica), Gianfranco De Franco (clarinetto, sax, flauti e loop), Giuseppe Oliveto (trombone, flicorno, fisarmonica e conchiglie), Emanuele Gallo (basso), Francesco Montebello (batteria e percussioni) – è un elemento essenziale dello spettacolo e propone momenti jazz, blues e rock’n’roll capaci di un impatto emotivo devastante. Dario De Luca dimostra di essere padrone indiscusso della scena ed usa la sua voce calda e ferma per alternare monologhi a parti cantate. Il titolo del lavoro, “Morir sì giovane e in Andropausa”, prende spunto dalla frase pronunciata dalla giovane Violetta alla fine della Traviata di Verdi: “Gran Dio, morir sì giovane, io che penato ho tanto!”, per dar luce alla giovane generazione odierna che muore soffocata dalla mancanza di possibilità e scelte. Un’opera ad atto unico della durata di due ore che diverte e regala momenti musicali di alto livello. Dario De Luca & Omissis Mini Orchestra sono altresì tra i quattro vincitori di “Musica Contro le Mafie” (MEI, MkRecords), con il brano “Il Male Minore”, per l’esibizione del 26 Ottobre nell’ Auditorium Guarasci di Cosenza, confermando ancora una volta il loro grande talento. Verranno premiati in uno speciale meeting al Medimex di Bari il 30 Novembre 2012, dove interverranno Roy Paci, Giordano Sangiorgi (MEI – Audiocoop, Promotore “Musica contro le mafie”), Gennaro De Rosa (Coordinatore “Musica contro le mafie”, MkRecords) e tanti altri.